Sanremo 2014, prima serata fra “zeitgeist” e occasioni perse

La parola d’ordine è “zeitgeist”. Lo spirito dei tempi, o se preferite, per usare un motto caro a Fabio Fazio, “contemporaneità”. Al Festival edizione numero 64 tutto  si può dire fuorchè non porti sul palco sonorità al passo coi tempi. Il problema semmai, è quanto questa contemporaneità riesca a far breccia nella gente che Sanremo lo guarda, che poi in gran parte è anche quella che televota. E che notoriamente è invece più lontana dal nuovo e dal moderno.

In un concorso normale, in un paese normale, i Perturbazione a Sanremo sarebbero stati invitati dieci anni fa, quando emergenti lo erano sul serio e avrebbero trovato un pubblico nel quale far breccia. Oggi ci arrivano a testa altissima, dopo tre lustri di carriera live, con concerti sold out e un pubblico pagante che molti dei big in gara se lo sognano, portando due canzoni straordinarie (e forse “L’Italia vista dal bar”, che è stata eliminata è anche migliore e più radiofonica de “L’unica”).

In un paese normale, in un concorso normale, sabato  lotterebbero per il podio. Invece rischiano di finire se va bene a  centro plotone perché domani sera, quando la gara sarà a colpi di televoto, la differenza come sempre la farà la notorietà dell’artista al grande pubblico e non la canzone. E ci vorrà un grande sforzo della giuria, ammesso che sia veramente in grado di riconoscerne il valore, per rialzarne le quotazioni.

Zeitgeist.  Quello che porta sul palco di Sanremo un signore mascherato che da quasi dieci anni fa onore all’Italia suonando in giro per il mondo e duettando con le più grandi star internazionali insieme ad un talento partito da Sanremo e che poi attraverso l’Eurovision ha cominciato anche lui a girare l’Europa. A voler cercare il pelo nell’uovo, Gualazzi e The Bloody Beetroots, un po’ di retrogusto amaro l’hanno lasciato, soprattutto a chi s’aspettava qualcosa di più frizzante, in linea con le produzioni del dj veneto.

Nonostante questo, “Liberi o no” è un pezzo estremamente moderno e fuori dagli schemi festivalieri. Fra i pochi a spiccare in una serata musicalmente un po’ triste con molti artisti nettamente sotto i loro standard (Arisa, Frankie Hi NRG e forse anche un po’ Cristiano De Andrè, che pure ha in finale il pezzo migliore e potrà dunque giocarsi le sue carte), altri che hanno messo la propria classe e il proprio potenziale al servizio di pezzi difficilissimi (Antonella Ruggiero) e altri invece – è il caso di Giusy Ferreri – che giustamente sono andati sul sicuro, puntando su pezzi pop di pregevole fattura che viaggeranno senza ostacoli verso posizioni importanti.

Zeitgeist. Ma anche occasioni perse. Come quella di omaggiare degnamente, nel giorno del suo compleanno Fabrizio De Andrè:  “Creuza de ma” in versione Ligabue non rende giustizia ad una perla della nostra musica. E come quella di omaggiare altrettanto degnamente Freak Antoni, che “Mi piaccion le sbarbine” suonata al rientro dalla pubblicità non l’ha sentita quasi nessuno e le sue battute sembravano quasi buttate lì come un sasso in uno stagno. E magari il grande pubblico non sa nemmeno chi erano, gli Skiantos. Un video sarebbe stato utile. Se devi fare un omaggio, fallo bene.

Gualazzi & The Bllody Beetroots

Occasioni perse. Come quella di star zitto, sprecata da un Beppe Grillo che fuori dall’Ariston dà dei morti viventi ai giornalisti che sono soltanto colpevoli di star lì a fare il loro lavoro e non merita altro commento. Zeitgeist. Quello che Sanremo non raggiungerà mai sul fronte degli orari. Dopo 90 minuti, il tempo in cui all’Eurovision fanno sentire 26 canzoni, a Sanremo ne erano passate appena 4. Quattro ore e un quarto. Ed era solo la prima sera. In bocca al lupo a tutti.

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