ESC 2014: Conchita Wurst, l’Europa e la piccola Italia delle critiche

E adesso? Adesso si va a Vienna, o dove l’Austria vorrà andare. Questa è l’unica certezza. L’Eurovision Song Contest torna in un paese di enorme tradizione musicale nell’edizione in cui festeggerà 60 anni. ORF, la tv di stato austriaca, soltanto sei anni fa era ancora in protesta contro il regolamento e adesso invece si è portata a casa il trofeo, forse nell’anno in cui credeva più nel messaggio che stava veicolando con la figura di Conchita che nella vittoria.

La tabella qui sotto è chiara: la rappresentante austriaca ha vinto nettamente. Persino la Russia, le cui politiche omofobiche sono state il motore neanche troppo indiretto che l’hanno spinta, le ha dato 5 punti e solo Armenia,Polonia, Bielorussia e San Marino non l’hanno  votata e complessivamente ha preso 14 massime votazioni. C’è da chiedersi semmai appunto quanto ci sia di realmente  canoro  nella sua vittoria, perché sul fronte prettamente musicale, posto che ovviamente il gusto è soggettivo, The Common Linnets avrebbero meritato maggiormente, nonostante le chiare assonanze con uno storico successo dei Police.

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Ha ragione chi pensa che probabilmente “Rise like a Phoenix”, cantata da un interprete qualunque (l’apostrofo potete metterlo o non metterlo, il senso non cambia), senza barba, con una voce normalissima, quale è quella di Conchita Wurst, sarebbe passata inosservata: è un brano completamente “off record”, senza mercato a lungo termine e probabilmente non servirà neanche a spalancare le porte della carriera discografica a Conchita Wurst, che del resto non è che ce l’avesse anche prima. Ma l’Eurovision è pur sempre un festival e non sempre vincono i brani migliori. Nel caso specifico, più della canzone, ha vinto il messaggio e chi lo veicolava, la persona che c’è dietro la maschera.

C’era tutto perché Conchita Wurst vincesse:  la volontà di voler ribadire che l’Eurovision (e la musica in generale) unisce e non divide, accoglie e non discrimina; il fatto che ci si trovasse in una delle città più avanzate d’Europa sul tema dei diritti civili, in un contesto dove il tema della lotta alle discriminazioni (di qualunque tipo) è sempre molto sentito dalla fanbase. La presenza di Conchita Wurst ha portato tutto all’estremo.

Compresi i fischi – ingenerosi – alle gemelle russe Maria e Anastasiya Tolmachevy. Gettate nel frullatore loro malgrado dalla tv di Mosca a soli 17 anni, le quali hanno tenuto volutamente un bassissimo profilo rispetto alla grandeur consueta dei loro predecessori connazionali: niente auto a parte ma in bus con tutti gli altri, sorrisi, strette di mano, massima disponibilità e timidezza. Vera, non di facciata.  Hanno portato sul palco con grande dignità un brano mediocre, eccessivamente e volutamente zuccheroso, senza mai sbagliare una nota nemmeno quando erano in equilibrio precario sul dondolo (provateci voi, a cantare mentre fate su e giù). Ma alla gente in arena di come cantassero o di cosa facessero non è mai interessato.

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Non un applauso uno dalla sala stampa e fischi a prescindere. A qualunque cosa odorasse lontanamente di Russia. Compresa Alsou, collegata da Mosca per il voting. Ecco, questo forse è il lato più brutto, che intacca la vittoria di Conchita Wurst. Perchè al di là dei discutibili e inqualificabili atteggiamenti del governo russo in materia (non c’è bisogno di essere a favore o contro certe posizioni, l’intolleranza va comunque combattuta e il rispetto della libertà di ciascuno tutelata sino in fondo), resta il messaggio forte: con Conchita Wurst ha vinto la lotta ad ogni tipo di discriminazione. La canzone no, quella stavolta ha perso.

In fondo, è questo il dubbio che ci resta: è veramente una vittoria che fa bene all’Eurovision, quella di Conchita Wurst? A noi che del concorso siamo da sempre fautori, che ne apprezziamo la varietà musicale, la grandezza dello show televisivo e tutto il resto, compreso anche il lato caciarone, in fondo, non fa né caldo né freddo. Ma agli altri, al grande pubblico, quello che alla rassegna si approccia se va bene una settimana l’anno, magari col bilancino musicale in mano?

 Da un grandangolo prettamente italiano, quello che diranno dell’Eurovision dopo la vittoria di Conchita Wurst i media è facile immaginarlo. E già ieri sera, durante lo show in tanti non hanno mancato di esternarlo. Sono gli stessi che venerdì sera, durante la jury final, dove le riprese sono vietate, volevano diffondere un video delle prove di Emma, con rischio di farla squalificare, solo per fare scoop, perchè tutto è lecito, che hanno pubblicato una foto delle altre prove dell’artista usando gli shorts che fuoriuscivano per alimentare la critica spicciola e dire di quanto lei e la sua mutanda gialla fossero “in linea” con lo show, senza nemmeno prima guardarlo. E invece se l’avessero seguito, forse si sarebbero tolti un pò di pregiudizi. Compresi quelli sull’artista. Ne avevamo anche noi (e per inciso continua a non piacerci neanche un pò) e invece rassegne come queste ti fanno scoprire lati che non diresti mai.

Sono gli stessi che criticano un cantante che sul palco balla o magari indossa un vestito glitterato e poi magari applaudono ai balletti della Clerici, ai suoi travestimenti improbabili, ai bambini che giocano a fare i grandi,  alle favolose cubiste di 70 anni,   o ai prodotti in serie sfornati dal medesimo talent show. Con la solita spocchia italica che osanna qualunque cosa venga dal Bel Paese e affossi tutto quanto venga da fuori. Chi in  tutto questo tempo ha lavorato per togliere dalla testa degli italiani quell’etichetta infamante che  avevano appiccicato addosso all’ESC, dovrà probabilmente ricominciare daccapo. Perché coloro che da sempre si affrettano a dare giudizi solo guardando la confezione, torneranno alla carica.

Difficilmente si accorgeranno che Tom Neuwirth non è un fenomeno da baraccone che s’improvvisa cantante, ma uno che invece sa cantare veramente. E che non è “una trans” ma una drag queen (la cui differenza sostanziale sembra sfuggire alla maggior parte dei nostri media). Da noi, c’è da crederlo, continuerà a contare solo il fatto che ha vinto “la donna barbuta”, in un rassegna “trash” dove  i cantanti invece di stare davanti ad un microfono come a Sanremo talvolta anche ballano e dove anche il pubblico è trash “perché sventola le bandierine” e non invece un artista che voleva portare un messaggio all’Europa.

 PS: Giusto per essere chiari: il ventunesimo posto di Emma è il peggior risultato  della storia eurovisiva italiana, in proporzione, anche peggiore dell’ultimo posto di Modugno nel 1966 (sempre a vittoria austriaca), dove però c’erano meno paesi in concorso. Ecco, potete starne certi che le critiche partiranno da qui.  Rilanciando ancora una volta il tema della distanza della musica italiana da quella europea. Eppure basterebbe poco per informarsi:; dall’ESC sono partiti alcuni dei più grandi successi europei,  due anni fa la canzone vincitrice ha fatto il giro del mondo, conquistando la vetta in 18 paesi, superando i tre milioni di copie e vincendo 21 dischi di platino. Da noi non arrivò neanche in top 40. E molta della musica europea, anche al di fuori dell’ESC, va bene dovunque, meno che nel nostro paese. Non si può dire lo stesso delle produzioni italiane.  “L’Europa non è lontana, c’è una canzone italiana, per voi“, cantava Toto Cutugno nel 1990, anno dell’ultimo successo italiano all’ESC. Credeva d’averci visto lungo, il buon Toto. Purtroppo, s’è sbagliato.

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Una risposta

  1. pointless_nostalgic ha detto:

    condivido tutto, fino alla parte finale, quella relativa alla critica italiana che mi sembra un po” ingeneroso e troppo rancoroso…