Tornano i Dead Can Dance con un nuovo album misticheggiante, “Dionysus”
Loro sono un duo anglo-australiano nato nel lontano 1981. I Dead Can Dance si sono sciolti nel 1998, ma riuniti nel 2005, nel 2011 e ora. Quindi non sciolti del tutto direi. Premetto subito che la loro non è una musica di facile ascolto, ovvero non è per tutti; non è il solito pop che si ascolta nelle radio di tutti i giorni. Il loro sound infatti è un mix di suoni orientaleggianti, misticheggianti, tradizionali che abbracciano l’intero mondo dall’Australia, passando per l’Iran, la Bulgaria, la Grecia, la nostra Italia e il sud America. Effettivamente sono difficilmente definibili all’interno di un unico genere. Alcuni siti lo definiscono rock gotico, altri dream pop (sottogenere dell’indie pop). Quello più azzeccato secondo me è la world fusion music nel quale si fondono le tradizioni musicali di tutto il mondo senza disdegnare elementi contemporanei.
I due sono l’australiana Lisa Gerrard(contralto) e l’inglese Brendan Perry(baritono). Ma credetemi che le loro voci, seppur bellissime, non sono il carattere fondamentale della loro musica. Se voi ascoltaste anche solo il loro ultimo album (ultimo di ben nove album), Dionysus, pubblicato, non a caso il 2 novembre scorso, giorno della commemorazione dei defunti, vi impressionerebbe subito l’incredibile varietà di strumenti utilizzati. Un esempio sono la zourna (antico strumento a fiato dell’Europa orientale) o la gadulka bulgara, una sorta di violino etnico o i flauti aztechi.
Il nome dell’album, 7 brani divisi in due atti, è dedicato a una divinità greca importantissima, Διόνυσος (tr. Dionysos, Dioniso). Infatti Aristotele nella Poetica, afferma che il genere teatrale della tragedia nasce da coloro che intonano il ditirambo, vale a dire il canto cultuale in onore di Dioniso, dio del vino e dell’irrazionalità. Inoltre i più grandi spettacoli teatrali ad Atene si chiamavano proprio le Grandi Dionisie. E non dobbiamo pensare al teatro di oggi, che è frequentato ormai solo da una nicchia di persone, perché quello ad Atene era veramente fondamentale nella vita di tutti tant’è che si sospendevano le guerre se necessario. Il fine della tragedie infatti non era solo fare spettacolo, ma momento di psicodramma collettivo, in cui tutta la città veniva coinvolta e faceva riflettere sui problemi che attanagliavano l’umanità. Meditavano su incertezze sia contemporanee, legate alle vicende della città, ma anche filosofiche.
Ed è proprio su questi ultimi due aspetti che il duo ci vuole portare a riflettere, stando a quanto dichiarato dai due, in un mondo che sta conoscendo sempre di più governi fascisti e autocratici.
Ah, segnatevi il loro concerto a Milano, il 26 e 27 maggio 2019.