Eurovision 2025, con Lucio Corsi l’Italia alla prova dell’export: 14 anni di occasioni perse

La notizia che forse più è passata inosservata dall’annuncio che Lucio Corsi rappresenterà  l’Italia all’Eurovision 2025 con “Volevo essere un duro” è che per la seconda volta da quando l’Italia è tornata in concorso nel 2011, sarà rappresentata da un artista della Sugar. Sarà tutto completamente italiano, come non succedeva appunto dai tempi dell’inatteso e bellissimo secondo posto di Raphael Gualazzi con “Madness of love”.

Al di là dell’ovvia scaramanzia, il dato è importante perché se è vero che l’Italia è il paese dei Big 5 con lo score migliore, nelle ultime 14 partecipazioni (dal 2011 in poi, contando anche il 2020 cancellato per la pandemia) i successi discografici internazionali dei brani italiani presentati all’Eurovision si contano invece sulle dita di una mano.

Tolti i Måneskin, che rappresentano un caso a parte anche per come è stata raggiunta la vittoria, arrivata con un brano completamente differente da tutto quello che aveva portato l’Italia in quel momento (ma sul perché sono diventati star internazionali c’è molto da dire e se avrete la pazienza di arrivare in fondo, ci arriveremo), soltanto tre artisti hanno avuto un vero boost internazionale dopo l’Eurovision. Uno è Mahmood, che nel 2019 ha vinto Sanremo un po’ nella condizione in cui Lucio Corsi è arrivato secondo cioè da artista poco conosciuto – veniva da Sanremo Giovani – e che ha avuto il modo ed il tempo di promuovere a dovere “Soldi”, partecipando a numerosi eventi internazionali prima e dopo l’Eurovision, senza l’assillo di un tour nazionale, favorito in questo anche dall’avere un brano sicuramente  di respiro internazionale, merce rara per il palco dell’Ariston.

Gli altri due sono Gualazzi e Diodato. Il primo dopo l’Eurovision ha cominciato a girare l’Europa, ha firmato con la celebre etichetta Blue Note per la distribuzione internazionale delle sue canzoni e da allora si esibisce con successo nei palchi del Continente. L’altro non ha avuto l’opportunità di promuoversi sul palco dell’Eurovision ma “Fai rumore” è stata la protagonista dello show sostitutivo internazionale  “Eurovision: Europe shine a light” e oggi la conoscono tutti. Di tutti gli altri, fuori dalla bolla eurovisiva non c’è praticamente traccia e anche Il Volo, che pure dichiararono  di aver accettato l’Eurovision per dare uno slancio europeo alla loro carriera che si sviluppava molto oltreoceano, non hanno praticamente alcun vantaggio dalla partecipazione eurovisiva e anzi, è stata quasi completamente rimossa dalle loro interviste.

Cos’hanno in comune Gualazzi e Diodato? Incidono per etichette completamente italiane (rispettivamente Sugar e Carosello). Lucio Corsi incide per la Sugar e allora davvero questa è una occasione da non sprecare.

Detta così può sembrare uno slancio di nazionalismo e invece no, perché la questione rimanda ad un dato di fatto e cioè che l’Italia non investe sulla promozione internazionale dei suoi artisti. Nemmeno quelli dell’Eurovision.

L’italocentrismo forzato che danneggia gli artisti

Al di là dei giudizi sulle produzioni italiane, è evidente che la motivazione sul perché l’Italia musicale è quasi completamente sconosciuta oltreconfine e praticamente nulla a livello di export discografico, va ricercata nel sistema discografico italiano stesso. Un sistema ormai dominato dalle sole filiali italiane di appena quattro grandi major internazionali, che lascia le briciole a tutto il resto.

Questo fa si che per le grandi label, la competizione non sia tanto  (o non solo) con le etichette concorrenti, quanto (più) interna, ossia fra le varie filiali nazionali della stessa etichetta: chi fa meglio viene premiato. Il risultato di questo meccanismo è che le grandi etichette – almeno in Italia – preferiscono fare cassetta rapidamente e nella maniera più facile, piuttosto che scommettere su un progetto che abbia un margine di rischio, come può essere il lancio internazionale di un artista (che sia con o senza l’Eurovision). Valga ad esempio questa intervista ad un oggi ex discografico che illustra la scala gerarchica per le filiali italiane delle major: è passato diverso tempo ma la situazione è ancora la stessa.

Parte di questo meccanismo sono anche i management degli artisti, che ovviamente orientano le carriere dei talenti sul mercato più facile, per massimizzare e velocizzare le possibilità di successo.

Le etichette indipendenti italiane, invece, si confrontano soltanto con loro stesse: ecco perché la presenza di un artista Sugar lascia ben sperare sul fronte di una promozione di Lucio Corsi all’estero. La casa discografica venne fondata dal compianto Ladislao Sugar, suocero di Caterina Caselli ed è una etichetta oggi gestita dalla sua famiglia, particolarmente dal figlio della ex cantante, Filippo Sugar. Carosello invece è il marchio delle edizioni Curci, anche questa  a gestione familiare.

Due eccellenze italiane, in linea peraltro con ciò che il servizio pubblico ha come missione: la promozione della creatività italiana ma anche dell’imprenditoria italiana.

La sfida: guardare fuori dalla finestra

La discografia è un mercato e l’Eurovision è in questo senso l’equivalente televisivo di quello che in economia è l’Istituto per il Commercio con l’Estero. La presenza italiana nella rassegna, oltre a costituire un’importante piattaforma promozionale per gli artisti, rappresenta quindi una importante  occasione per valorizzare e promuovere l’eccellenza creativa e imprenditoriale del Made in Italy musicale.

Eppure negli ultimi 15 anni l’Italia non ha esportato quasi nulla. Nel 2013, “L’essenziale” di Marco Mengoni aveva tutti i crismi per lanciare l’artista a livello internazionale ma il management e l’etichetta preferirono continuare ad investire sull’Italia, nonostante l’uscita del brano in spagnolo. Lo scorso anno Angelina Mango aveva programmato un tour europeo, ma quando l’artista ha deciso di fermarsi, è stata la prima cosa a venire cancellata, senza prospettive di recuperarlo. Per  Nina Zilli intervenne la casa madre a imporre un brano ritenuto più internazionale, contro la volontà della filiale italiana, che non lo promosse in alcun modo dopo l’Eurovision, nemmeno nella sua versione italiana. E anche per i Måneskin, dopo la vittoria all’Eurovision, la svolta della carriera è stata proprio la decisione di investire su chi credeva nel loro potenziale internazionale e sulla loro volontà di continuare ad esibirsi in inglese e non in italiano, proprio per allargare l’orizzonte.

Il palco dell’Eurovision 2025 dirà se “Volevo essere un duro” di Lucio Corsi farà presa sul pubblico europeo: le potenzialità ci sono tutte. Ma le cose andranno come si spera, sarebbe un peccato sprecare l’occasione per lanciare l’artista anche sul mercato internazionale. Che ha molta più fame del mainstream italiano di quello che si crede. Ma che anche fra i giovani, tradizionalmente i maggiori consumatori di musica – è pressochè sconosciuto. Non ci credete? Questo piccolo test effettuato con ragazzi da tutto il Mondo in Erasmus a Bologna ne è una prova.

 

Anno Artista Etichetta Sede Madre
2011 Raphael Gualazzi Sugar Italia
2012 Nina Zilli Universal Usa-Paesi Bassi
2013 Marco Mengoni Sony Giappone
2014 Emma Universal Usa-Paesi Bassi
2015 Il Volo Sony Giappone
2016 Francesca Michielin Sony Giappone
2017 Francesco Gabbani BMG Germania
2018 Ermal Meta e Fabrizio Moro Mescal-Sony Italia-Giappone
2019 Mahmood Island gr.Universal Usa
2020* Diodato Carosello Italia
2021 Maneskin Sony Giappone
2022 Mahmood e Blanco Universal Usa-Paesi Bassi
2023 Marco Mengoni Sony Giappone
2024 Angelina Mango La Tarma/ Warner Italia-Usa
2025 Lucio Corsi Sugar Italia

(*)= edizione cancellata per la pandemia

Emanuele Lombardini

Giornalista, ternano, cittadino d'Europa, liberale. Già speaker radiofonico. Ha scritto e scrive di cronaca, sport, economia e sociale per giornali nazionali e locali per vivere; scrive di musica su siti e blog per sopravvivere.

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