Sanremo e la scommessa di Conti: se i comici fanno sul serio
E se avesse ragione Carlo Conti? Si, insomma, se la scelta che appare bizzarra di inserire dei comici – o comunque non dei cantanti di professione – nel cast di Sanremo 2015 fosse azzeccata? La vera sfida del direttore artistico, in fondo, è proprio questa: dimostrare che Sanremo è una cosa seria anche per chi di solito fa ridere. Il paragone coi festival baudiani degli anni 90 salta all’occhio, perchè la miscela è la stessa: tante canzoni, qualcuno del mainstream, cantautori di vent’anni prima ancora sulla cresta dell’onda, qualche giovane emergente, cavalli di ritorno del passato e qualche voce fuori dal coro che alla fine s’è rivelata la vera sorpresa. Allora mancava il rap, ma il concetto, la formula, va nella stessa direzione. E anche allora, non mancarono le polemiche e le critiche.
Francesco Salvi, Giorgio Faletti, Sabina Guzzanti e la Riserva Indiana, Federico Salvatore, il Trio Melody (Peppino Di Capri, Stefano Palatresi e Gigi Proietti) e perfino Elio e le Storie Tese erano i nomi che allora fecero storcere il naso: qualcuno di loro (Faletti ed Elio), rischiò anche di vincerlo, il Festival, nessuno di questi si coprì di ridicolo. Giorgio Faletti e Federico Salvatore erano noti rispettivamente per i numeri al Drive In e per le canzoni comiche cantate nel salotto di Costanzo e invece uscirono fuori come cantautori impegnati, di spessore. Il comico varesino nei suoi tre festival (il migliore con “Esatto”) non perse la sua vena ironica, ma riuscì anche a far riflettere (nonché a vendere benissimo); la leggerezza della Guzzanti (ma anche di un musicista come David Riondino) nascondeva un testo in realtà di denuncia sociale, quella del Trio Melody era semplicemente disimpegno, ma senza buttarla in caciara.
Ecco allora che la scelta di offrire spazio a due comici di grande fama ma sin troppo sopra le righe come Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli e ad un duo nato all’interno del pool di insegnanti di Amici come Grazia Di Michele e Mauro Coruzzi desta curiosità. “Le parole sono importanti”, diceva Nanni Moretti. E allora il fatto, per esempio, che Coruzzi abbia scelto di presentarsi col suo nome e cognome e non come Platinette potrebbe nascondere qualcosa di diverso dal solito. Del resto Grazia Di Michele è una delle più raffinate cantastorie italiane e difficilmente verrà a Sanremo a farsi ridere dietro e anzi un buon risultato al Festival ne riabiliterebbe l’immagine un po’ offuscata dal suo ruolo di coach nel discusso talent show di Canale 5. Così anche la scelta di Biggio & Mandelli di non presentarsi come “I soliti idioti” ma coi loro cognomi (e si spera anche senza travestimenti) potrebbe anche celare un brano ironico ma non trash, come invece ci si aspetta.
NON SOLO BAUDISMO – La lista di coloro che, provenienti dalla tv o da altri “mondi artistici” presero sul serio Sanremo è lunga. Lontano dagli anni baudiani, il pensiero va ai Pandemonium, sorta di “Elii” ante-litteram che nel 1979 fecero sorridere senza imbarazzare (l’unica fu la valletta di Bongiorno Anna Maria Rizzoli, che dovette annunciare “Tu fai schifo sempre”) come anche Enrico Beruschi, già in quell’anno comico tv di punta, la cui “Sarà un fiore” giocava coi doppi sensi ma non scandalizzò il pubblico pur ancora bacchettone dell’epoca. Come strappò due volte un sorriso la cabarettista bolognese Marinella Bulzamini nei Sanremo 1979 e 1981: nel secondo arrivò settima con “Ma chi te lo fa fare“, che ad una coregrafia invero un pò kitsch legava però un brano bello e spensierato.
Francesco Nuti, che al massimo aveva cantato “perle” come “Puppe a pera”, con la sua “Sarà per te”, fece scoprire nel 1988 un lato inedito e delicato e strappò un sorriso solo quando sbagliò il testo in diretta. Gino Bramieri nel 1962 si presentò al Casinò (dove allora si svolgeva il Festival) in sella ad un cavallo per cantare (con Aurelio Fierro) “Lui andava a cavallo”, Marisa Laurito nel 1989 preferì più puntare sulle sue origini campane ricordando che “Il Babà è una cosa seria”, nello stesso anno in cui Gigi Sabani cantò “La fine del mondo” esorcizzando il penultimo ultimo posto con una serie di imitazioni a raffica nell’ultima sera.
Il comico Paolo Rossi a Sanremo c’è andato due volte, una con Jannacci per cantare i mali della politica ne “I soliti accordi” e l’altra con un inedito di Rino Gaetano, “In Italia si sta male”. O ancora Armando De Razza, comico di stampo arboriano, che in quegli anni (è il 1990) portava in scena la parodia del cantante confidenziale alla Julio Iglesias giocando sui doppi sensi (“Yo no soy ne italiano, né espagnolo, soy escobarita”, diceva introducendo la mitica “Esperanza d’Escobar”), arrivò in finale fra i giovani con la ironica ma delicata e piacevolissima “La Lambada strofinera”. Finanche un musicista di provata esperienza come Gianni Mazza giocò col Festival, presentandosi (a quasi 60 anni) fra i giovani con “Il lazzo” e dirigendosi l’orchestra da solo. Non lasciò traccia, ma nessuno si scandalizzò.
Vorrei segnalarti altri comici della storia di Sanremo:
Renzo Arbore che cantava “Il clarinetto”, Fiorello che cantava “Finalmente tu”, I Figli di Bubba che cantavano “Nella valle del Timbales”, Le Figlie del Vento che cantavano “Sugli sugli bane bane” e, un altro non cantante di professione era Emanuele Filiberto, che con Pupo e Luca Canonici cantava “Italia amore mio”.
Ma anche no. Renzo Arbore E’ un cantante, gira l’Italia cantando, poi è divenuto anche un attore e comunque fa entrambe le cosa. Fiorello è un artista a tutto tondo, non possiamo dire che non sia anche un cantante. Le Figlie de Vento sono state uno dei maggiori gruppi vocali degli anni 70, cantanti di professione e basta. I Figli di Bubba avevano due attori, ma anche due cantanti, su Filiberto ecco, non è pertinente, stiamo parlando di chi non si è coperto di ridicolo…