Sanremo 2021 e la sindrome dell’alunno più furbo, o la teoria del voto (in)utile
L’esito della prima serata di votazioni della giuria demoscopica ha confermato ciò che andiamo dicendo da tempo e cioè che quello che marca ancora la distanza fra il nostro festival e il resto d’Europa è proprio la presenza di questa giuria, tarata su un target vecchio e non rispondente al paese reale della musica. Che oggi è liquida ed in streaming: i 300 “abituali fruitori di musica”, non sono altro che un televoto appena più selezionato. Perchè oggi il disco fisico non lo compra più nessuno e per capire dove va lo streaming o il download basta farsi un giro delle classifiche.
La giuria demoscopica è tornata ad avere in mano – come e più del televoto – il potere di orientare la classifica e così il Festival 2021 si è di nuovo preso il vecchio male d’un tempo, l’allergia alla novità ed al paese reale, musicalmente inteso.
Eterna malattia
Potremmo sintetizzarla come la ‘sindrome dell’alunno più furbo. Avete presente quelli che a scuola non eccellono in nessuna materia in particolare ma che a forza di strappare sufficienze in tutte le materie arrivano alla fine dell’anno senza particolari problemi? Ecco, una giuria demoscopica che – come quella di quest’anno – assegna a ciascun brano un voto da 1 a 10, fa esattamente questo: premia i pezzi medi. E così l’alunno arguto e sveglio, quello che è particolarmente bravo in alcune discipline mentre zoppica in altre, rischia di vedersi rimandato a settembre nonostante in pagella abbia perfino qualche 9. La storia di Sanremo, gli annali lo raccontano è piena di Festival vinti con una marea di ‘6’ e ‘7’ battendo canzoni che hanno preso ’10’ penalizzate da qualche ‘1’ di troppo.
Brani come quelli di Madame, o dei Coma_Cose o di Colapesce e Dimartino, rappresentano l’attualità e il primo riscontro radiofonico lo sta confermando. Ma in una giuria che ha un range di età necessariamente ampio, come quella demoscopica, la maggioranza preferisce premiare gli artisti più conosciuti: pazienza se, come è apparso palese, hanno brani non all’altezza della gara e in qualche caso persino della loro carriera.
Non si vede, quindi non esiste
La ‘paura’ che il Festival, possa andare di nuovo a nomi nuovi, ha spinto la giuria demoscopica ad affidarsi al presunto ‘voto utile’, o presunto tale. Del resto, se Sanremo è un pezzo dell’Italia – e certamente lo è – allora deve rispecchiarne perfettamente lo spirito. L’Italia non è un paese per giovani e di riflesso anche il Festival non deve diventarlo. Il metro che misura distanza fra il ‘paese reale’ della musica – ossia il vero pubblico di fruitori della stessa – e quello immaginato è la reazione che il telespettatore medio ha avuto all’annuncio del cast del Festival: poco importa se molti di quei nomi sono esattamente ciò che si ascolta in radio o su spotify o stiano sulle scene da anni con successo sui palchi di mezza Italia: non si vedono in tv, non passano nei programmi. Quindi: non esistono, non sono big. E dunque, non meritano di poter lottare ad armi pari, anche in presenza di canzoni migliori. E probabilmente, di spotify, il giurato demoscopico medio non conosce nemmeno l’esistenza.
Fosse stato per la giuria demoscopica, “Soldi” di Mahmood nel 2019 sarebbe arrivata diciannovesima ed averebbe vinto Ultimo. Come è andata a finire fra i due, in termini di vendite, di risultati nazionali ed internazionali, è ben noto. La sala stampa ristabilì i giusti equilibri ma quest’anno, anche per via di un televoto che torna ad avere un peso ben più importante dell’effettivo 34%, la possibilità di raddrizzare la bussola sarà minore.
Le prime sentenze
Naturalmente, anche in una classe che premia gli alunni più furbi, i più bravi ed in meno bravi in tutto emergono sempre. La demoscopica dice quindi che Aiello, fregato dall’emozione nella prima esecuzioni, è destinato, anche perchè in presenza di un pezzo debole, a lottare nelle sabbie mobili. Noemi invece, se farà bene nella serata cover di domani, che incide sulla classifica, è destinata ad una gara di testa. Il terzo posto di Fasma, vincitore del festival dell’autotune, è forse la vera sorpresa. Ma al di là dell’abuso del correttore elettronico, il brano funziona e nella versione su disco è molto più forte che con l’orchestra. Il paese reale, quello che ascolta (anche) la trap, potrebbe spingerlo molto al televoto. Segnatevelo nel cartellino.